La relazione tra innovazione e conoscenza, una sfida per il management delle pmi

12 Mag 2021 | Senza categoria

Abbiamo constatato come – da un anno a questa parte – i condizionamenti (più o meno rilevanti in base ai settori) dell’emergenza sanitaria abbiano portato per moltissime imprese e per il management la necessità di innovare rapidamente processi di servizio e/o di produzione.
Spesso abbiamo scoperto come il nesso tra “imprenditorialità” e “innovazione” non sia per nulla scontato. Anzi. Abbiamo scoperto che fare innovazione vera, quella che può comportare una rivisitazione organizzativa e produttiva importante, non è facile, né agevole, né può essere elevata a categoria onnicomprensiva. Per essere capaci di innovare, infatti, il management deve creare una struttura favorevole all’imprenditorialità come competenza diffusa, alla responsabilità individuale, al senso di appartenenza, all’incentivazione di comportamenti orientati al ripensamento di processi consolidati. E tutto questo, non potendo ignorare che è faticosa un’impostazione di questo tipo, perché il business esistente richiede tempo, impegno, regole, procedure. Fattori essenziali, senza i quali sarebbe impensabile organizzare e produrre alcunché.
Le grandi imprese e le multinazionali da molto tempo hanno approcciato il tema dell’innovazione utilizzando soprattutto i project manager: figure professionali altamente specializzate nella gestione di progetti, a cui viene affidata una business unit e la facoltà di mobilitare tutte le competenze interne necessarie: ricerca, produzione, finanza, marketing, risorse umane. Nelle grandi imprese infatti le competenze sono ripartite tra più persone, che sovente le posseggono ad un livello alto, e il lavoro principale sta nel dirigerle e orientarle verso un obiettivo comune.

Molto diverso è il quadro per le piccole e medie imprese, nelle quali le competenze e le responsabilità non possono che essere concentrate sul titolare e sui suoi diretti collaboratori. Se è vero quanto sostenuto da Peter Drucker, ovvero che “un business esistente innova là dove possiede una competenza, sia essa conoscenza del mercato o conoscenza della tecnologia” , se è vero quindi che esiste un legame stretto tra innovazione e competenza, allora non potrà che essere l’incremento della conoscenza e la formazione continua il modo più efficace per rinsaldare quel legame.

Per accennare a questo nesso usciamo dal campo della letteratura manageriale, per interrogare chi della creatività e della fantasia, presupposti dell’innovazione, è stato un maestro: Bruno Munari, uno dei più grandi protagonisti dell’arte, del design e della grafica del secolo scorso. Dotato di una mente fervida, applicata ai campi più disparati, è stata definito “personalità leonardesca”, per il suo impegno nei settori più diversi, dal design industriale ai giochi didattici per bambini, per i quali è diventato famoso. Nel 1977 Munari pubblica per Laterza un libro ricco di intelligenza ed immagini, dal titolo “Fantasia”, con l’obiettivo di fare uno studio sulla fantasia e le sue applicazioni. Perché, come dice l’autore in premessa, se la fantasia è la capacità di immaginare qualcosa che non esiste, la creatività è essenzialmente un uso finalizzato della fantasia, ovvero è la capacità di immaginare qualcosa che non esiste ancora, ma che può essere realizzato.
Perché interrogare il libro di Munari? Per soffermarci innanzitutto su questa sua affermazione:
Il prodotto della fantasia, come quello della creatività e della invenzione, nasce da relazioni che il pensiero fa con ciò che conosce. E’ evidente che non può far relazione tra ciò che non conosce, e nemmeno tra ciò che conosce e ciò che non conosce” .

Munari fa una serie di esempi per dimostrare questa asserzione, che è molto condivisibile. Per produrre qualcosa di nuovo mettendo in relazione la plastica e la gomma, è necessario conoscere bene entrambe. E aggiunge che questo tipo di fantasia è molto diversa da quella che attribuiamo molto spesso ai bambini. Questi infatti compiono un’operazione diversa, che è quella di proiettare tutto quello che sanno, il loro mondo, su tutto quello che non conoscono. Nella fantasia intesa come creatività, ovvero come finalizzazione della fantasia a creare qualcosa di nuovo, protagonista è invece la conoscenza: più sarò in grado di mettere in relazione in modo nuovo, inedito, aspetti della realtà che conosco, più sarò in grado di creare e innovare. E’ la relazione ad essere al centro della fantasia, e questo spiega anche il motivo per cui persone molto colte possono esserne prive, perché sapere è solo il primo passo, il successivo è saper creare relazioni tra ciò che si sa:

“Il problema basilare quindi, per lo sviluppo della fantasia, è l’aumento della conoscenza, per permettere un maggior numero di relazioni possibili tra un maggior numero di dati” .

Sono molti i modi, descritti da Munari nel libro, con cui si può usare la fantasia. Uno in particolare, apparentemente il più semplice, può tornare utile proprio a chi, imprenditore o manager, si trovi ad aver a che fare con l’innovazione. Si tratta del “metodo Arcimboldi”. L’artista milanese Giuseppe Arcimboldi, vissuto nel XVI secolo, è noto soprattutto per le “Teste Composte”, ritratti burleschi eseguiti combinando tra loro oggetti o elementi dello stesso genere (prodotti ortofrutticoli, pesci, uccelli, libri, ecc.) collegati metaforicamente al soggetto rappresentato. Ogni oggetto perde il suo significato per assumerne uno diverso grazie alla relazione visiva con il quale viene messo con gli altri.

Uno dei presupposti soggettivi della creatività è la disponibilità a cambiare orientamento dello sguardo sulla realtà. Non è solo questione di tecnica: ci sono tecniche e strumenti per applicare la creatività nel lavoro o in altre sfere della vita personale, ma, come dice efficacemente Munari:
“non è rubando il pennello a Raffaello che si può diventare un grande pittore” .
Certamente è necessario conoscere i colori e le modalità con le quali stenderli sulla tela. Non si può prescindere dalla capacità tecnica, ma è lo “sguardo” di Raffaello sul mondo a fare di lui un grande artista. Allo stesso modo, la capacità di guardare alla realtà adottando punti di vista diversi, l’allargamento del proprio sapere, studiando e formandosi, una mente libera da preconcetti, la disponibilità a cambiare opinione se questa non trova conferme, tutto questo fa parte del background di una persona creativa e capace di innovare.
Tutto questo per dire che la creatività e l’innovazione non sono riducibili né a “doni innati”, né, all’opposto, a tecnicalità da assemblare e ricomporre, perché prima di tutto sono costituiti dall’allenamento al cambiamento dello sguardo, nutrito al tempo stesso da curiosità, orientamento alla conoscenza e capacità di mettersi in discussione.

Foto profilo Alessandro Moschini, docente

Bruno Degasperi

Direttore di Accademia d’Impresa

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