Le PMI in un mondo che cambia tra ordine e disordine

Riflessioni dal Festival Economia di Trento 2022

Per individuare un filo conduttore nel dibattito sul futuro delle Piccole e medie imprese nel mondo di oggi, e in particolare in quello che riguarda le nostre imprese nazionali, troviamo questi concetti chiave: innovazione digitale, finanza sostenibile e private equity, revisione dei processi di globalizzazione e passaggi generazionali.

Ma procediamo con ordine, perché la matassa da sbrogliare con i numerosi contributi di questa ricchissima diciottesima edizione del Festival dell’ Economia è sempre più complessa, vista la situazione particolare in cui ci troviamo, usciti da una crisi strutturale inedita dovuta alla pandemia che si incrocia oggi inevitabilmente a un sisma geopolitico senza precedenti. Il ruolo degli stati, le risposte dei mercati, le domande inedite, i possibili sviluppi della tecnologia, i cambiamenti sociali, le mosse delle grandi corporation: insomma il dominio assoluto dell’incertezza, dove si spostano anche i punti fermi e dove le decisioni non possono essere nemmeno ponderate con il calcolo dei rischi ad esse connesse.  Proprio per le oggettive difficoltà in cui si trovano oggi le piccole imprese, quello che abbiamo portato a casa dai contributi dei relatori è molto prezioso per tracciare una rotta nella nebbia.

 Qual è il futuro possibile per le imprese a capitale familiare?

 Nell’incontro “Post pandemia, passaggio generazionale e governance: quale futuro per le imprese a capitale familiare” si è discusso su quali possono essere le ricadute dirette sulle piccole imprese e come si stanno attrezzando gli istituti di credito e i fondi di investimento per aiutare il tessuto produttivo del nostro Paese. Il presidente di San Paolo Pietro Gross ricorda che il tipo di crisi scatenata dalla pandemia non è una tipica crisi da “ciclo economico” (come quella del 2008 per intenderci), perché è una crisi innescata da shock di interruzione produttiva, causata proprio da lockdown imposti dagli stati. È chiaro che l’utilizzo di strumenti monetari possa essere solo in parte efficace. Questo lo sanno bene le banche centrali e i governi. Molto più interessante invece è un ragionamento complessivo sulla gestione della crisi attraverso una roadmap che faccia evolvere la finanza da mero strumento di scambio di capitali a driver di sviluppo complessivo, connesso maggiormente all’ambiente e alla società, con un ruolo sempre più rilevante del Private Equity anche per progetti imprenditoriali di rilancio delle imprese.

 Infatti ricordiamo che il ruolo delle PMI nello sviluppo delle economie dei territori è determinante, e che oltre ad essere numerose (92% del totale), sono spesso anche di rilevanti dimensioni (sono oltre 11.200 quelle con più di 20 milioni di fatturato annuo).

La governance familiare oggi vive una nuova fase, una fase di passaggio. Si stima che il 50% delle PMI nei prossimi anni dovrà gestire un cambio al comando, con tutte le incognite che si possano presentare. La figura dell’imprenditore è sempre stata fondamentale nella nostra storia economica. La differenza dal manager, che ha il compito di raggiungere gli obiettivi di business che gli azionisti gli affidano, l’imprenditore ha una sua propria autonomia decisionale, e una vicinanza all’idea imprenditoriale alla “visione” che influenza la sua capacità di scelta. Generalmente, la capacità di chiedere fiducia al mercato e la capacità dare protezione e grazie alla sua profonda conoscenza del proprio business hanno caratterizzato gran parte delle vicende di successo delle imprese che sono cresciute dal secondo dopoguerra in poi. L’imprenditore oggi non può più decidere da solo e prendersi i rischi in proprio, in quanto il panorama e il paesaggio complessivo sul quale è costretto a muoversi richiede, di rispondere alle esigenze che vengono dettate dagli analisti finanziari.

Le nuove generazioni che seguiranno dovranno quindi conoscere molto bene il proprio business, orientarsi al private equity, lavorare sui criteri ESG, e infine, affrontare anche gli aspetti meno positivi del nostro contesto nazionale, in primis confrontarsi con una burocrazia eccessiva e molto costosa da gestire.

Foto Nicola Eccher Archivio Ufficio Stampa PAT

Ma nel breve periodo, in questi mesi, quali sono i principali problemi che affrontano le PMI?

 L’incontro “Commercio mondiale, catene di fornitura, materie prime e logistica: evoluzioni e impatto sulle imprese italiane” organizzato da GEI (Gruppo economisti d’impresa) è stato messo in grande evidenza come il manifatturiero italiano è in crisi con le catene di fornitura interrotte. La volatilità dei prezzi delle materie prime, il costo elevato dei noli (che sono arrivati a sestuplicare i prezzi), la mancanza di scorte dovute all’applicazione stringente di sistemi manageriali lean che limitano il magazzino a favore del just in time, la logistica fluida sono tutti fattori che concorrono a limitare, se non a impedire il normale funzionamento degli stabilimenti produttivi italiani.

Tuttavia dal punto di vista dei dati macroeconomici il 2021 ha visto una crescita complessiva del 7% dell’export evidenziando come inevitabilmente, anche a causa di questo instabilità generale, le imprese italiane abbiano comunque acquisito quote di mercato che prima non avevano.

Gregorio De Felice, Chief Economist Intesa Sanpaolo ha portato i dati di un’analisi esplorativa su un campione di 3.500 soggetti sulle 15mila PMI Italiane, nel quale emerge come dal 60% al 70 % degli intervistati si pone il quesito su come risolvere il problema della gestione delle proprie catene produttive. Valeria Negri, Direttore Centro Studi Assolombarda sottolinea che oltre il 50% dei propri associati lamenta difficoltà di produzione dovute a interruzioni di fornitura e stanno lavorando per ridisegnare le relazioni con i propri fornitori e imprese contoterziste, e lato impresa, ci si pone il problema di come riorganizzare le funzioni aziendali anche per aiutare il management a prendere le decisioni corrette in un momento di così elevata incertezza e volatilità.

Foto Alessandro Eccel Archivio Ufficio Stampa PAT

Si può quindi parlare di reshoring e di rilocalizzazione  di funzioni aziendali e produzioni?

Se da un punto di vista meramente sociale si è visto una crescita di interesse per il termine “reshoring” sia durante la pandemia che alla vigilia dell’invasione della Russia all’Ucraina, in termini di pubblicazioni editoriali e di ricerche sui motori internet, molto più difficile è stabilire se questo fenomeno stia effettivamente avvenendo. Emilio Rossi, Senior Advisor Oxford Economics, sostiene che quello che si osserva da tempo è una creazione di ampie aree di libero scambio commerciale, che rispondono ad esigenze specifiche e che di fatto non interrompono la globalizzazione finanziaria che comunque continua ad avvenire. Il fenomeno del reshoring non è ancora del tutto evidente anche per la necessità che hanno tutti gli attori economici di mantenere vivo lo scambio a livello tecnologico e di conoscenze, per il quale è molto evidente che per ora i sistemi sono altamente interdipendenti tra loro a livello globale. Il vero problema che oggi le PMI devono affrontare, così come tutti gli attori economici, è nella gestione dell’inflazione e nella previsione delle mosse degli attori istituzionali.

Molto più interessante sarà osservare come le imprese reagiranno alla necessità di rivedere le catene di approvvigionamento per contenere lo shock inflazionistico e per rendere più stabili i processi produttivi. Su questo idealmente il nostro paese dovrebbe avere un vantaggio competitivo avendo tradizionalmente un management più flessibile e dinamico, tuttavia oggi la sfida si gioca soprattutto sul piano della variabile da tutti ritenuta chiave: le competenze.

Foto Daniele Paternoster Archivio Ufficio Stampa PAT

Le competenze per le PMI del futuro?

Il tema dell’investimento sulle competenze è stato l’argomento chiave “Le imprese e i territori dell’Unione Europea: digitalizzazione e transizione verde”. Infatti oggi sebbene le istituzioni si stiano muovendo attraverso il PNRR a un investimento importante in infrastrutture che supportino la transizione ecologica, energetica e digitale dei sistemi, per raggiungere gli ambiziosi obiettivi di riduzione delle emissioni di anidride carbonica garantendo una crescita sostenibile dell’economia, ai progetti non può mancare un sostegno importante all’aggiornamento di competenze per contenere il digital divide che secondo il Rapporto Bes 2021 ci vede al penultimo posto in Italia.

Ci si chiede quali siano le risposte concrete dei sistemi per sostenere questo passaggio cruciale. Mentre per l’investimento in infrastrutture e per il rinnovo della pubblica amministrazione gli strumenti sono già ad uno stadio avanzato di sviluppo, molto meno definito è l’ambito che riguarda le imprese.  E’ probabile che su questo “quadrante” del sistema la funzione privilegiata sarà giocata da un lato alle misure già in atto (indutry 4.0 e super ammortamento) e dalla finanza sostenibile (applicazione di criteri ESG), tuttavia, a ben vedere, ci sarebbe ancora molto lavoro da fare per offrire alle imprese, soprattutto quelle di piccole dimensioni e fortemente orientate sulla direttrice giusta, strumenti facilmente applicabili per ottenere i vantaggi competitivi reali che li convinca a mantenere loro non solo il corretto orientamento, ma lo spirito a innovare costantemente processi e prodotti.

 

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